STORIA DELL’ARTE ITALIANA DAL MEDIOEVO ALL’ARTE CONTEMPORANEA
a cura dello storico e critico d’arte Carla d’Aquino Mineo
INTRODUZIONE
Nella compagine odierna delle arti visive i fermenti ispirativi sono molteplici e differenti le ascendenze stilistiche. Basti ricordare che nel secolo scorso, dopo l’avvento dell’Informale e soprattutto, dopo l’avanguardia della Pop Art americana nel 1964, la storia dell’arte italiana è stata travolta da una ventata di novità che ha sovvertito lo stesso concetto di linea storica. Resta però un dato fondamentale: nel 2000 tutto si rinnova in una cultura diffusa e globalizzata con l’intervento dell’influsso artistico europeo, antico e moderno, in particolare la pittura francese, dagli impressionisti a Picasso e tutte le avanguardie storiche che si sono susseguite nel secolo precedente, mentre alcuni autori di valenza artistica adottano oggi originali linguaggi che conservano ascendenze di un gusto legato alla civiltà figurativa antica. Potrei menzionare, tra I GRANDI AUTORI DEL’900 che operano attivamente nell’attualità una rosa di artisti, tra i quali Giovanni Cherubini, Ruggero Rotondi, Giuseppe Galletta, Rodolfo Savoia, Giuseppe Saccomani, Mario Cianciotti, Alessandro Beltrami, Salvatore Tedde, Maurizio Cervellati, Alessandro Fioraso, Piero Rasero, Giuseppe Rizzo Schettino, Sebastiank,Salvatore Gerbino e Gilberto Stefani, mentre nel versante femminile Anna Trapasso, Luisa Andaloro, Rosa Mininni, Debora Ferruzzi Caruso, Maria Pina Sallemi, Luisa Borin e Paola Meloni; ognuno interpreta egregiamente con un proprio sentire poetico ed autenticità di linguaggio artistico nella peculiarità personale. Ecco che allora, agli albori e nel primo ventennio del 2000, raffinatezze e brutalismi si incontrano, mentre la storia irrompe nell’oggi in un discorso apertissimo che cerca nuove prospettive nei linguaggi artistici e nella consapevolezza di un importante, quanto, illustre retaggio storico.
CIMABUE ED IL DUECENTO NELLA CULTURA ARTISTICA ITALIANA
Difficile identificare il periodo esatto, in cui sorge una vera e propria documentazione della pittura italiana anche se è risaputo che dal VII° al XI° secolo, essa ne lascia testimonianza, attraverso affreschi murali e tavole lignee eseguite con pittura a tempera. Ma fu l’arte del fiorentino Cimabue, alla fine del Duecento a creare “i primi lumi all’arte della pittura”. In particolare, tra il XII° ed il XIII° secolo, la Toscana fu fulcro principale di numerose opere d’arte dipinte su tavola, mentre fiorirono alcune “scuole” in città come Lucca, Pisa, Siena e Firenze che attivarono centri di realizzazione artistica. L’influsso bizantino è riscontrabile nei dipinti di Cenni di Pepo, detto Cimabue che fu elogiato anche da Dante Alighieri nella sua opera universale della Divina Commedia, come predecessore di Giotto, il quale acquisì notevole fama nel suo tempo. Cimabue nacque circa nel 1240, visse a Firenze ed esercitò l’attività di pittore a Roma, poi Assisi ed a Pisa, dove morì nel 1302. Celeberrima è la raffigurazione di San Giovanni da lui realizzata nel mosaico absidale del Duomo di Pisa, ma un’intensa espressività drammatica è visibile nel Crocifisso situato nella chiesa di San Domenico ad Arezzo, dove il volto dolente del Cristo si abbandona sulla spalla destra in serena mestizia ed in un’atroce raccoglimento di sofferenza, profondamente sentita dalla Madonna e San Giovanni, raffigurati nei riquadri all’estremità della santa Croce. Cimabue dipinse altri due noti Crocifissi, realizzati entro un ciclo di affreschi nel luogo presbiteriale della Basilica superiore di San Francesco ad Assisi, tra il 1277 ed il 1280.
Crocifisso – Cimabue – Arezzo – Chiesa di San Domenico
La visione di bellezza spirituale con raffinatezze bizantine primeggia nell’affresco della Madonna in trono colBambino, tra quattro Angioli e San Francesco che Cimabue eseguì nella stessa Basilica inferiore ad Assisi, mentre la Madonna “di Santa Trinità, ritenuto il suo capolavoro eseguito su tavola per la Chiesa fiorentina, ora è collocata nella galleria degli Uffizi a Firenze che si staglia nella sua solennità.
Madonna di Santa Trinità – Cimabue – Galleria degli Uffizi
Tra il 1310 ed il 1350 spicca nello scenario artistico la figura del pittore romano Pietro Cavallini, commemorato con lode nell’iscrizione posta nella Basilica di San Paolo, di cui sono visibili i mosaici da lui realizzati nel 1291 nella Basilica di Santa Maria in Trastevere che narrano alcuni episodi della Vergine. Realizzò un imponente affresco dedicato al Giudizio Universale in Santa Cecilia in Trastevere, di cui sono rimasti alcuni cenni, mentre primeggia nella stessa Basilica il Cristo dal simbolico cromatismo bizantino con accenni classici, che svela un’amorevole dolcezza spirituale.
Il Giudizio Universale – Cristo – Pietro Cavallini – Chiesa di Santa Cecilia in Trastevere – Roma
GIOTTO E LA SCUOLA GIOTTESCA
All’epoca Giotto fu ispirato da Cavallini e Cimabue, che contribuirono ad elevare la sua pittura nella completezza, attraverso l’insegnamento di Cimabue, avendolo notato da fanciullo pastore, mentre disegnava dal vero una pecorella su pietra. Giotto nacque da Bondone agricoltore a Colle di Vespignano nel Mugello nel 1267 circa. Formatosi presso l’apprendimento di Cimabue, Giotto realizzò alcuni viaggi nella città di Roma, dove ampliò la sua cultura artistica, attraverso la conoscenza della pittura antica e quella di Cavallini, mentre volgeva l’interesse alle opere scultoree di Arnolfo di Cambio. Giunto in Assisi verso il 1290, realizzò nella Basilica superiore di San Francesco alcuni affreschi dedicati agli episodi, narrati egregiamente sulla vita di Isacco, di Giuseppe e del Nuovo Testamento che proseguirono quelli eseguiti da Cimabue ed artisti affini alla pittura di Cavallini. Ma il genio di Giotto si manifestò nel ciclo di ventotto riquadri in affreschi nell’ordine inferiore delle pareti della navata della Basilica di San Francesco, in cui raffigurò la vita di San Francesco, elevando la tradizione bizantina con una partecipazione di interiore spiritualità, dove “rimutò l’arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno; et ebbe l’arte più compiuta ch’avessi mai più nessuno” (Cennino Cennini). Giotto ha espresso egregiamente la santità di Francesco, superando l’immagine dugentesca di asceta nella volontà divina per svelare ovunque agisse con miracoli la sua unile preghiera, rendendo trascendentali paesaggi ed architetture. E proprio nella sua umiltà innalza lodi a Dio con le sue creature, mentre la rappresentazione giottesca dell’ambiente che raffigura le scene del ciclo, sono cariche di armoniosi contrasti cromatici nella dimensione spirituale rappresentata con un sentire umano nella nobiltà del suo animo. E’ significativo, quindi, considerare la spiritualità di Giotto come valore primario che qualifica la sua pittura, mentre l’armonia compositiva è arricchita da un sentimento plastico che fa emergere i rilievi dei dati figurali, determinando la peculiarità della pittura toscana, da Giotto a Michelangelo. E’ qui che va inserita nella storia dell’arte italiana per comprendere nel retaggio storico la contemporaneità, l’esperienza artistica del maestro Giovanni Cherubini nella sua esplicita volontà di sintesi nel rapporto architettonico e nell’equilibrio calibrato delle masse, dove l’immediata captazione della forma si dissolve in una luministica spazialità spirituale come quella di Giotto.
Nativitas Domini – Giotto – Cappella degli Scrovegni – Padova
Cappella degli Scrovegni – Padova
Nella Cappella degli Scrovegni, presso l’arena di Padova, tra il 1303 ed il 1304, Giotto manifesta la sua maturità artistica nella decorazione pittorica del Giudizio Universale in ampia composizione, dove le scene appaiono visioni monumentali nella profondità prospettica dello spazio. Celeberrima è la sua Nativitas Domini, mentre Maria si rivolge al Bambin Gesù per abbracciarlo, tra lodi angeliche nella completezza dei tempi e nell’eterna, ma sempre nuova nascita del Signore.